È appena stata pubblicata la seconda edizione, ampliata ed aggiornata, del libro di Orsetta Bellani Indios senza re – Conversazioni con gli Zapatisti e le Zapatiste su Autonomia e Resistenza, con prefazione di Raùl Zibechi. Ricco di illustrazioni, per complessive 140 pagine, è stato aggiornato dall’autrice fino all’estate 2019 rispetto alla precedente edizione del 2016. Ne viene fuori il quadro di una resistenza continua all’interno della costante costruzione di un vasto territorio autonomo e autogovernato. Per richieste contattare le edizioni La Fiaccola: info@sicilialibertaria.it
“Pensare che sia stato un piccolo gruppo di meticci urbani a plasmare i popoli maya nella costruzione di qualcosa di nuovo, nelle montagne, foreste, valli e fiumi che servono come scudi e risorse della lotta rivoluzionaria, è un’insopportabile tecnologia coloniale/patriarcale/capitalista, che segue la logica dei partiti e delle accademie. Rifiutare questo sguardo dall’alto è un necessario esercizio anticoloniale che rappresenta il primo passo, imprescindibile, per capire o almeno avvicinarsi a un mondo che è sempre altro.
Uno sguardo che suppone un progetto civilizzatorio che consiste nel rinchiudere popoli interi, strappar loro territori e fonti d’acqua, ed impedir loro l’uso del denaro fisico, completando in questo modo il circolo della dominazione. Separare i popoli dalle geografie è il primo passo di questo processo chiamato civilizzazione, che venga fatto dalla destra, dalla sinistra o da quest’orrore chiamato progressismo. Potremmo definire “campo di concentramento” l’esperimento di ingegneria sociale in corso, le cui recinzioni di filo spinato hanno nomi conosciuti: Treno Maya, Corridoio Interoceanico, Progetto Integrale Morelos, e così via.
La poetica arguediana, come i racconti del Vecchio Antonio, nascono in geografie ripide, tagli spaziali, giungle intricate e torrenti senza freni. Queste forme della natura che hanno forgiato popoli contumaci e, di conseguenza, autonomi, ostinati nel loro conservare e riprodurre doni e cosmovisioni. Possiamo dire che il carattere che forgiano queste geografie variopinte è quello insegnato dai mapuche e dagli zapatisti, resilienti alla modernità capitalista neoliberale.
Abbiamo bisogno di racconti in cui il fango sia il protagonista centrale. Di ceibe maestose e mesquiti solitarie, di pendii scivolosi, valli abissali e creste aguzze, perché è lì dove camminiamo e sogniamo un mondo nuovo. Chi sogna nella comodità della scrivania, inciampa spesso sugli incubi che questo sistema ci butta addosso. Il cielo aperto e l’aria pulita sono i luoghi in cui il pensiero si espande, e in cui crescono le idee libertarie.
Forse per questo, i racconti del sub Marcos e del Vecchio Antonio si appoggiano comodamente sulle stelle e le colline, rimangono sospesi nell’ambiente che li compone. E forse proprio per lo stesso motivo, questo libro si muove attraverso quella che, sgarbatamente, chiamiamo natura. Nebbie spesse e nuvole, colorate da soli che affondano in orizzonti verdi; alberi, boschi e foreste; radici e pietre, foglie e tronchi; e il fango, sempre il fango, che circonda fiumi selvaggi ed animali addomesticati. Non potrebbe essere diversamente. Ci troviamo in Chiapas, in territori in cui il popolo comanda e il governo ubbidisce. Territori che non finiamo mai di percorrere e riconoscere; perché queste terre cambiano, si muovono, si modificano mentre vibrano e ci fanno tremare di emozioni che non si possono trasmettere. (Dalla Prefazione di Raùl Zibechi)
Raùl Zibechi